Editor, scrittore, illustratore, psicologo all'occorrenza
(ma dobbiamo conoscerci meglio).
Quando l'occhio guarda storto
Se ti volti sei già morto
Salta avanti senza indugio
È il tuo unico rifugio
Scendi giù, scappa lontano
Tieni pronta la tua mano
Se ti fermi o hai gambe corte
È arrivata la tua sorte
Corri forte e mira il corvo
Solo allora sarai salvo
Nonno Grenn conosceva tante filastrocche strampalate, ma questa era di sicuro la preferita di Ron. Chissà perché poi? Non ne aveva mai compreso il significato e neanche mai se l'era chiesto. Era semplicemente affascinante e misteriosa, e tanto bastava perché il bambino la facesse propria. Il nonno poi la canticchiava spesso quando lo portava in giro per i campi di Collina Solitaria, agitando il bastone da passeggio e scrollando l'erba alta ai lati del sentiero. Ogni tanto colpiva un soffione, e i pistilli, vorticando nel vento, gli finivano fin sotto il grosso naso impigliandosi nei folti baffi bianchi, allora starnutiva forte e perdeva il cappello. La scena era sempre esilarante per Ron, anche se ormai lo sapeva che nonno Grenn lo faceva apposta.
Le domeniche col nonno erano un vero spasso. Ron si svegliava prestissimo la mattina, sporgeva la sua testolina dai capelli castani fuori dalla finestra e osservava il sentiero che risaliva il pendio fino a casa sua. Puntava gli occhi azzurri sul dosso vicino ai binari del treno, dove di lì a poco sarebbe comparso il calesse del nonno. Appena sentiva il suo allegro fischiettio, si precipitava giù dalle scale, spalancava il portone di Villa Laslow, usciva in cortile e gli sbarrava la strada. A quel punto Grenn impennava il cavallo e diceva: «Chi osa intralciare il mio cammino!?».
«Sir Ronald Laslow di Collina Solitaria!», rispondeva Ron.
«Mai visto un lord presentarsi in pigiama... Dovrei forse chiamarvi Sir Sonnacchione?».
«Per l'offesa subita vi dichiaro in arresto e vi condanno al divertimento e all'avventura!».
Grenn Laslow era l'uomo più alto che si fosse mai visto a Collina Solitaria. Portava un lungo giaccone verde appoggiato sulle larghe spalle, con le maniche libere di svolazzare al vento. Con una benda sull'occhio sarebbe sembrato un capitano pirata, come quelli di cui parlano romanzi e leggende. Nonostante la sua età, per come rideva e giocava non pareva portare tanti più anni del nipote.
Con lui ci si rotolava giù dalle colline fino a riempirsi d'erba tasche e mutande. Poco importava che la mamma li strigliasse entrambi una volta tornati a casa. Si arrampicavano sugli alberi più alti solo per raggiungere i frutti più lontani. Il nonno lo diceva sempre: «Quelli sono i più ghiotti, dai retta a me!». In realtà non avevano nulla in più degli altri, ma il fatto che fossero più difficili da prendere li rendeva speciali.
Il nonno poi era imbattibile a nascondino. Una volta era sparito in un prato deserto senza tronchi né cespugli, dove l'unico masso presente era quello della conta. Ron aveva cercato in lungo e in largo, ma solo dopo aver girato attorno al macigno per la decima volta aveva trovato il nonno con la mano sulla conta, vincitore della sfida. Ron disse di aver guardato sopra, davanti, dietro, a destra e a sinistra, e il nonno, di tutta risposta, gli chiese: «E sotto?».
Diverse volte i due si sdraiavano a terra e guardavano il cielo. Nonno Grenn indicava tutte le nuvole e chiedeva a Ron di indovinare a quale animale assomigliassero. Lui rispondeva con i nomi di quelli che conosceva, di cui aveva visto le foto o di cui parlavano le fiabe. Alcune però avevano una forma troppo strana, ma il nonno aveva una risposta anche per quelle. Il cacciafrussi, il burinottero, il lengiofario, il bracchiatarqui erano solo alcune delle strane creature alle quali faceva riferimento.
«Che cos'è un burinottero, nonno?».
«Ma come “che cos'è”? È quella mucca con le ali di libellula che vive sugli arcobaleni».
«E il lengiofario?».
«È quella cosa che mangia solo lucciole! Bisogna evitarlo d'inverno perché diventa bisbetico».
Grenn conosceva un sacco di cose, Collina Solitaria non aveva segreti per lui. Era stato in ogni campo e boschetto, dalle mura di Borillo fino alla valle di Iosa, dove, si sa, cresce solo mimosa. Aveva bevuto l'acqua di ciascun fiume e ruscello, anche quello di Farasso, dove, stando a quanto diceva, le cascate seguivano andamento inverso e salivano in alto: il posto ideale per i salmoni. Aveva visitato ogni grotta, scalato ogni altura e disceso ogni dirupo, non vi era sasso di cui ignorasse l'esistenza.
Conscio della curiosità del nipote, nonno Grenn organizzava molte spedizioni nei luoghi delle sue avventure passate. Ron andava matto per quelle gite e non ne aveva mai abbastanza. Ogni esperienza in compagnia di quell'uomo sembrava uscita fuori da un sogno. Non era solo un'impressione del giovane Ron Laslow: tutti amavano quell'aspetto di nonno Grenn... tutti, tranne papà. A volte Ron si chiedeva come fosse possibile che quei due appartenessero alla stessa famiglia, che fossero addirittura genitore e figlio. Nulla avevano da spartire, erano uno l'opposto dell'altro.
Ogni volta che nonno Grenn aspettava Ron fuori dalla porta per portarlo in qualche insolito viaggio, papà lo guardava torvo, si aggiustava la cravatta e scuoteva infastidito i suoi baffetti neri. Gli diceva di fare attenzione, di tornare presto, chiedendogli se non fosse l'ora di piantarla con quelle stupide “avventure”, ché Ron aveva ben altro da fare, piuttosto che seguirlo a caccia di folletti. Nonno Grenn, in risposta, cercava di rassicurarlo, ma più sorrideva usando un tono gentile, più papà si innervosiva, fino a quando diventava tutto rosso e troppo buffo per ispirare rispetto. Allora tornava in casa sbattendo la porta.
Alla sera invece, quando Ron e il nonno facevano ritorno, papà era sempre silenzioso. La mamma abbracciava il bambino, lo baciava sulla fronte e gli diceva di salutare il nonno, ché era ora di andare a mangiare. Così Ron faceva, e quando lui e sua madre erano ormai sulla porta di casa, papà si avvicinava al nonno, ma non lo abbracciava mai, limitandosi ad augurargli un buon rientro col suo tono freddo e telegrafico. Subito tacevano entrambi, poi il nonno sorrideva e l'altro voltava lo sguardo.
«Avresti potuto venire con noi. Sai... Ron ci terrebbe tanto».
«Ron dovrebbe preoccuparsi di tutt'altro».
«Peter... È solo un bambino».
«Vero. Ma con te rischia di rimanerlo per sempre. Dico bene?».
«Potresti fare uno sforzo. Magari la prossima volta».
«Magari la prossima volta».
Poi nonno Grenn saliva sul carretto, recuperava le briglie e faceva ripartire il cavallo. Si allontanava sul sentiero dal quale era venuto, accompagnato dalle luci del tramonto.
Inutile precisarlo, Ron era davvero incantato da suo nonno, quell'uomo riusciva a rapire la sua fantasia con ogni suo gesto. Il suo asso nella manica erano le storie. Ne conosceva a migliaia ed era insuperabile nel raccontarle. Ron le adorava tutte, senza esclusione, ma aveva un debole per alcune di esse. Le sue preferite erano quelle di paura, quelle che parlavano di Bosconero.
Tutti i bambini hanno paura del buio, ma se c'è una cosa che fa ancora più paura, quella è Bosconero. Era un'antica foresta che cominciava ai margini di Collina Solitaria, dove alberi enormi si intrecciavano nell'oscurità come serpenti, come eserciti di ragni giganti congelati da un incantesimo. Ron riusciva a vederla dalla sua cameretta perché Villa Laslow era stata costruita sul confine del paese. La guardava solo di giorno, quando la luce era forte. Mai di notte, mai.
A Collina Solitaria tutti conoscevano Bosconero, ma nessuno ne parlava. Solo ogni tanto i genitori lo menzionavano per spaventare i figli combina guai. Dicevano che vi abitassero dei mostri orrendi, che di notte scendevano in paese per rapire i bambini pestiferi. Li trascinavano fin sotto le fronde degli alberi per poi divorarli un morso alla volta, uno per ogni cattiveria che avevano combinato, e uno per ogni volta che avevano disubbidito a mamma e papà.
Persino il sole aveva paura di Bosconero. Durante la giornata cercava sempre di ritardare la sua corsa prima di sparire oltre l'orizzonte. Tramontava proprio là, dietro la foresta, e quando scendeva diveniva tutto rosso, come se i rami della selva lo stessero ferendo e dilaniando. È allora che calavano le tenebre.
Il nonno diceva anche che Bosconero nascondesse tanti tesori, alcuni sepolti nella terra, altri affondati negli stagni. Nei secoli furono molti gli eroi che tentarono di impossessarsene. Partivano alla volta del bosco in cerca di gloria e ricchezza, fieri e spavaldi nelle loro armature. Non era però il coraggio a guidare il loro cuore, ma arroganza e cupidigia, e tanto bastava a disperderli nel buio per sempre. Cavalieri, barbari e ladri, pistoleri, banditi e briganti, chiunque fosse tanto sciocco da addentrarsi nel cuore della foresta incontrava la medesima sorte, un viaggio senza ritorno.
«Ma tu, nonno, sei mai stato a Bosconero?».
«Oh! Oh! Oh! Oh! Non me lo ricordo, bimbo mio. Sai, con l'età la memoria inizia a fare cilecca».
«E allora come fai a sapere tutte queste cose?».
«Sono un nonno! Se non le conoscessi, come farei a metterti paura?». A quel punto, dopo una risata, Grenn riprendeva a raccontare e Ron, come di consueto, lo ascoltava affascinato.
Ron amava quelle storie, così come amava suo nonno. Alcuni di quei racconti gli facevano ancora compagnia... ora che le domeniche si erano fatte grigie. Ora che il calesse non passava più. E aveva smesso di sentirsi l'allegro fischiettio alle prime luci del mattino.
L'ultima volta che vide il nonno, Ron aveva otto anni. Quella mattina Collina Solitaria pareva una fotografia sbiadita.
Camminando verso il camposanto, la mamma si era inginocchiata vicino a lui, gli aveva asciugato le lacrime e dato un bacio sulla fronte. «Coraggio, ometto... prendi la tua sorellina per mano e tienila vicino».
La piccola Lucy aveva appena compiuto cinque anni. Si guardava attorno un po' spaesata e chiedeva al fratellone: «Ma perché andiamo tutti a guardare il nonno che dorme? Non possiamo svegliarlo e andare a giocare?». Ron non riusciva a rispondere, sembrava che non la sentisse.
La mamma allora l'aveva presa a sua volta per mano: «Il nonno ha lavorato tanto e ha viaggiato ancor di più. Ora è stanchissimo e dormirà per molto, molto tempo».
Nonno Grenn se ne stava sdraiato dentro a una cassa, abbottonato in un vestito elegante. Aveva gli occhi chiusi e le mani giunte sul petto. Erano venuti in tanti a salutarlo, tutta Collina Solitaria. A turno ciascuno portava un mazzo di fiori, lo posava vicino al vecchio Grenn, passava una mano sulla cassa di legno e diceva alcune parole che nessuno poteva sentire, poi se ne tornava al suo posto. Portavano tutti un abito nero e un fazzoletto per asciugarsi le lacrime. Di tanto in tanto si scambiavano abbracci cercando di farsi forza a vicenda.
C'era poi un gruppo di anziani che si discostava dagli altri. Stavano nelle prime file, proprio vicino al nonno, e indossavano vestiti stravaganti tutti colorati e corredati da cappelli assurdi. Ridevano, scherzavano e facevano baccano, ricordando i bei momenti che avevano vissuto insieme a Grenn. Alcuni erano suoi amici d'infanzia, altri invece gli aveva conosciuti un po' più avanti negli anni. Anche loro avevano gli occhi lucidi e le guance rigate dalle lacrime, ma portavano comunque un gran sorriso sulle labbra. Sapevano che il nonno era una persona allegra a cui piaceva un sacco ridere e che quello era di sicuro il modo migliore per salutarlo. Lui avrebbe voluto così.
Ron avrebbe tanto desiderato unirsi a loro, ma papà non glielo aveva permesso. Diceva che non era decoroso, che bisognava rispettare la serietà, specie in momenti come quelli. Lui non aveva pianto. Peter Laslow non avrebbe mai pianto. Era stato freddo e composto anche nel ricevere le condoglianze. All'inizio della cerimonia era salito sul palchetto e aveva pronunciato il discorso di encomio quasi fosse una sentenza in tribunale. Aveva dipinto suo padre come una persona buona, dedita ad aiutare il prossimo, che aveva sempre riservato un gesto gentile a chiunque fosse capitato sul suo cammino. Ron era d'accordo con quelle parole, ma gli sembrava non fossero abbastanza. Avrebbe voluto salire sul palchetto e raccontare a quelle persone chi era davvero suo nonno, quante magiche avventure era capace di far vivere e quante gliene aveva regalate, urlare a tutta Collina Solitaria che non ci sarebbe stato un altro uomo come lui, perché nessuno era come lui! Ma era solo un bambino. Non sapeva se avrebbe retto l'emozione del discorso, né se i presenti l'avrebbero capito. E di sicuro suo padre si sarebbe arrabbiato.
Fu poi la volta del prete, un uomo basso e grasso, con pochi capelli bianchi sopra le orecchie, che dopo alcune formule in latino aveva cominciato un discorso sulla vita e sulla morte. Non c'era passione nelle sue parole, tutto si scioglieva in una cantilena appresa a memoria sull'amore per l'Altissimo e la fortuna che il vecchio Grenn aveva avuto nell'essere stato richiamato in cielo, liberato da questa prigione di terra e da questa vita effimera.
Ron aveva sentito la rabbia salire dentro. Come poteva quell'uomo parlare di fortuna!? Come poteva riferirsi alla terra e alla vita come a una prigione!? Nonno Grenn aveva sempre gioito della vita, imparato dalle avversità e goduto dei successi! Nonno Grenn amava la terra! La SUA terra! Ogni filo d'erba, ogni frutto, ogni albero e roccia, ogni campo e vallata, ogni paesaggio e tramonto! Tutto aveva un posto nel suo cuore! E ora il suo cuore sarebbe volato via, lontano, chissà dove.
Ron avrebbe voluto urlare e zittire quel prete rimbambito. Ci pensava e ripensava, mentre la bara veniva chiusa e calata giù. Avrebbe voluto correre a fermare i becchini, ma l'unica cosa che riuscì a fare fu piangere. Piangere a dirotto.
La cerimonia era finita. Il prete aveva abbandonato il palco e si era unito agli amici di famiglia per scambiare due parole con mamma e papà. Il corteo funebre si stava sciogliendo e le persone stavano tornavano alle loro case, chi ancora osservando il silenzio, chi parlando del più e del meno. Allo stesso modo anche le nuvole all'orizzonte, sferzate dal vento, andavano diradandosi lasciando spazio a un cielo dalle sfumature rosa.
La piccola Lucy aveva strattonato il fratellone per una manica: «Guarda Ron! L'arcobaleno! C'è l'arcobaleno!».
Lui aveva alzato la testa e l'aveva guardato a fondo.
Cercava i burinotteri.